Una carriera straordinaria (con 27 milioni di dischi venduti), «ma è successo tutto per caso. Oggi la trasgressione è essere normali»
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Modella negli anni Sessanta per fotografi come Helmut Newton e David Bailey, e all’inizio dei Settanta sulla copertina dell’Lp For your Pleasure dei Roxy Music, in tacchi a spillo e con una pantera nera al guinzaglio. Regina della disco music con 27 milioni di copie vendute. Poi negli anni Ottanta personaggio tv. E attrice, prima al cinema e oggi in teatro. Doppiatrice, anche, per una serie (kolossal) di cartoni animati hollywoodiani. Amanda Lear ha fatto di tutto, in oltre cinquant’anni di carriera perché, molto semplicemente, tutto dopo un po’ la annoia. Proprio tutto. E proprio tanto. Tantissimo.
«Sì, tantissimo. Io mi stanco. Mi stanco sul lavoro, mi stanco in amore. Mi stanco di mangiare sempre la stessa pappa. È per questo, di sicuro, che sono ancora qui. Perché ho cambiato strada, spessissimo: ho fatto la modella e poi la cantante e poi la tv, il cinema, il teatro, il doppiaggio. Tutto purché la gente non mi vedesse sempre lì a fare la stessa identica cosa. Me lo immagino il pubblico, che mi vede e pensa “Ancora lei?”». (E qui Lear, che parla perfettamente anche l’italiano tra le 5 lingue a sua disposizione si lancia in un’esclamazione lombarda da fare invidia al Pozzetto dei bei tempi: Ancora lei? E la Madooooooonna!; ndr).
La soluzione? Cambiare?
«Meglio ancora: sparire. Sparire e poi tornare. In un’altra veste. Sei sempre tu, ma fai tutt’altro. In questi giorni presento il nuovo Gli Incredibili 2. Il sequel del film del 2004: quando allora sentirono la mia voce nel doppiaggio — francese e italiano — nessuno mi riconobbe».
Dà la voce a Edna, la stilista dei supereroi, che disegna i loro costumi.
«Rispetto al doppiaggio originale ho scelto un atteggiamento diverso, un po’ Anna Wintour, prepotente, deciso. Mi sono divertita moltissimo 14 anni fa, e nella versione originale la voce a Edna la dà un uomo, il regista».
Tanto lei in tutta la carriera con il genere femminile e maschile ha sempre giocato.
«Sì, che barba, tutti a dire la Lear è una donna, un uomo, per tanti anni. Come se fosse una cosa così strana. In realtà adesso la vera provocazione è essere conservatori, sposarsi, restare sposati, mettere la cravatta. Ecco, il vero provocatore oggi è il ragioniere. Tutto il resto è superato. Anche perché onestamente sono stata amica e allieva di Dalí (il suo nome d’arte, vuole la leggenda, fu inventato dal sommo pittore, foneticamente affine a amant de Dalí; ndr) e mi chiedevano del cambiamento di sesso? Le domande riflettono l’intelligenza di chi le fa».
Spero di no. Lei tra l’altro ha studiato arte, da ragazza, prima ancora di incontrare Dalí. Si è stufata anche dell’arte?
«No, è l’unica cosa che mi ha accompagnato sempre, e sempre mi accompagnerà, anche se dovessi vivere fino a cent’anni (oltre al genere registrato all’atto della sua nascita, è nebuloso anche l’anno: fonti varie indicano dal 1939 al 1950; ndr). Io ho studiato alle Beaux-Arts a Parigi, poi alla St. Martins a Londra. A Dalí pulivo i pennelli, come gli assistenti del Rinascimento. Un privilegio pazzesco, il grande onore della mia vita. Ma è successo tutto per caso».
Per caso?
«Tutto casuale, sempre: non mi sono mai preparata niente, mai studiato una strategia». Ventisette milioni di dischi venduti per caso? «In generale dico sempre che se squilla il telefono, io ci sono. La musica è arrivata perché nella mia vita c’è stato David Bowie. Mi vede sulla copertina dei Roxy Music, chiede di conoscermi: stiamo insieme per due anni. Io gli spiego l’espressionismo tedesco del quale non sapeva niente — era un autodidatta, intelligentissimo ma partiva da zero o quasi — che diventa una sua passione. Lui si accorge che ho una bella voce, mi dà fiducia, mi consiglia di diventare cantante. Arriva subito la disco e capisco che è il momento giusto. Prima non avrei potuto cantare. Così come non avrei potuto fare la modella prima di Françoise Hardy che cambiò l’estetica delle ragazze e quindi anche delle modelle: prima sarei stata troppo alta, troppi zigomi, troppi denti. E prima della disco non credo che avrei potuto fare il pop di allora. Ma ho puntato sulla musica perché non potevo fare la modella per sempre, sapevo che il fisico non sarebbe durato».
In Italia il tormentone, tra i tanti, è stato Tomorrow, canzone che lei non ama.
«Non è una bella canzone, ma in Italia è stato il delirio, me la citano ancora, me la chiedono, quando faccio un concerto qui tendo a rifiutarmi di cantarla. Però a Tomorrow dico grazie, mi ha pagato l’affitto per trent’anni. All’estero, di canzoni me ne chiedono cento altre, in Germania per esempio Queen of Chinatown. Ma ogni Paese ha delle peculiarità: io cantavo Lili Marlene con il vocione alla Marlene Dietrich, ma qui in Italia me lo proibirono, dicevano che da voi porta sfiga, quella canzone, se l’avessi cantata sarebbero scappati tutti».
Basta rivedere qualche foto dal telefono, o un video su YouTube. Lei che canta, con quegli abiti, quei capelli, quel trucco, nell’era della disco: è diventata un’icona. Gay ma non solo. E gli stilisti la adorano.
«Perché venivo dalla moda, sapevo come posare. Come muovermi sul palco lo imparai prendendo lezioni di ballo sempre su suggerimento di David Bowie. Io amo i fumetti, pensavo a Vampirella, quel tipo di immagine lì. E poi la gente in discoteca ci andava per rimorchiare, ecco. L’idea che ho avuto? Donna Summer faceva tutti quei gridolini che non vogliono dir niente, io voglio le parole, a me piacciono le parole. Le mie canzoni hanno le parole, disco o non disco».
Se la trasgressione adesso è essere sposati perché la sua musica funziona ancora? I Baustelle l’anno scorso le hanno dedicato una canzone molto bella, Amanda Lear: «I wanna be Amanda Lear / Il tempo di / Un LP / Il lato A, il lato B / Non siamo mica immortali, bruciamo ed è meglio così... Soltanto per un LP... Che niente dura per sempre, figurati io e te».
«Dovevo esserci, nel video, poi ho evitato. La canzone ha avuto un successone. È vero che niente dura per sempre, è il caso: l’amore, la passione, durano tre anni. Se va bene». Mille giorni: nel mondo dello spettacolo come si fa? «Bisogna rinnovarsi. Come Madonna. Guardi Madonna: arrivano altri, ma poi spariscono dopo aver fatto il loro bel boom, invece lei è sempre lì».
E la moda?
«Mi piace quella fresca, l’eleganza che non si prende troppo sul serio. In Italia ci sono tanti stilisti bravi, in questi giorni sarò a Milano per cantare a un piccolo concerto dopo la sfilata di Philosophy di Lorenzo Serafini, che è un talento vero e uno stilista di grande finezza e una persona intelligente. E educata. Ecco, l’educazione. Ce n’è bisogno, dentro e fuori la moda».
In questi giorni sta dipingendo?
«Sempre, anche se sto per tornare in teatro e devo seguire l’uscita de Gli Incredibili 2. Io che ho passato tanto tempo con Dalì però dipingo fiori. Olivi. Ma la pittura resta, ben oltre mille giorni. In Italia mi sono sempre sentita a casa perché l’arte è ovunque, è la regola e non l’eccezione. Feci anche una mostra con Sgarbi che è una persona intelligentissima. Ecco, l’arte. Per me niente alcol, niente droga, no grazie. No, io dipingo. È terapeutico. È la cosa che consigliano di più gli psicoterapeuti».
Gli artisti della sua vita, al di là del maestro Dalì?
«Caravaggio, Bronzino. Botticelli. Guardi che il mondo dello spettacolo è complicato per le donne ma non è che quello dell’arte sia da meno. Di sicuro non è meno maschilista, anzi lo è di più. È ancora peggio. Dalì quando gli dicevo che volevo fare la pittrice rispondeva che non c’è mai stata una donna grande come Velazquez. Io rispondevo che a quei tempi eravamo in cucina, non ci lasciavano dipingere». Era nato nel 1904, c’erano pochi uomini sintonizzati sulle istanze del femminismo allora. «Vero. Ma io gli citavo Frida Kahlo, Suzanne Valadon. Grandi artiste, nonostante tutti quegli ostacoli. Dalì era intelligente e generoso però. Alla fine mi dà una tela. I colori, i pennelli. E mi dice: “Fammi vedere”. Io dipingo, lui guarda. Quando alla fine il quadro l’ho finalmente completato mi dice: “Non devi mai finire un quadro, mai, così la gente pensa che poteva essere un capolavoro”. Se solo avessi fatto quello che pensano loro. Gala, sua moglie, me lo comprò. Il primo quadro che ho venduto. Capii che ero stata promossa, che sarei diventata pittrice».
Nello spettacolo c’era e c’è molto maschilismo ma ora siamo in tempi di #metoo.
«Guardi, ha presente il grande produttore americano Darryl Zanuck? (Furore, Eva contro Eva, Il re e io; ndr). Ricordo i baffoni, il sigaro puzzolente: lo stereotipo del produttore, che personaggio grossier. Mi trovò che ero ragazza, cosa crede che abbia provato a fare con me? Sono cose che son sempre successe, ma questo #metoo che scoperta è? Se c’è una ragazzina stupidina ci casca, ma in un mondo così duro come quello dello spettacolo bisogna essere intelligenti, altrimenti quella delle molestie diventa una barzelletta, che lo fai e poi ti penti anni dopo quando ti accorgi che è stato un errore. Io, quando è stata eliminata Asia Argento per lo scandalo del ragazzino, mi sono proposta a X Factor. Ho detto: state tranquilli che io non pago minorenni, non mi interessano e tra l’altro dargli 350mila euro come ha fatto Asia Argento sarebbe pura follia, al massimo 50 euro».
Cosa le hanno detto?
«Di no, peccato, sarebbe stato divertente. Io la tv l’ho fatta e a volte la faccio ancora, ma fa veramente schifo, tanta volgarità e tanti opinionisti inutili. Le opinioni quelle le hanno tutti, è l’unica cosa che hanno tutti, i cretini come i geni. No, veramente la tv non si può guardare».
Corriere Della Serra... 21 settembre 2018
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Modella negli anni Sessanta per fotografi come Helmut Newton e David Bailey, e all’inizio dei Settanta sulla copertina dell’Lp For your Pleasure dei Roxy Music, in tacchi a spillo e con una pantera nera al guinzaglio. Regina della disco music con 27 milioni di copie vendute. Poi negli anni Ottanta personaggio tv. E attrice, prima al cinema e oggi in teatro. Doppiatrice, anche, per una serie (kolossal) di cartoni animati hollywoodiani. Amanda Lear ha fatto di tutto, in oltre cinquant’anni di carriera perché, molto semplicemente, tutto dopo un po’ la annoia. Proprio tutto. E proprio tanto. Tantissimo.
«Sì, tantissimo. Io mi stanco. Mi stanco sul lavoro, mi stanco in amore. Mi stanco di mangiare sempre la stessa pappa. È per questo, di sicuro, che sono ancora qui. Perché ho cambiato strada, spessissimo: ho fatto la modella e poi la cantante e poi la tv, il cinema, il teatro, il doppiaggio. Tutto purché la gente non mi vedesse sempre lì a fare la stessa identica cosa. Me lo immagino il pubblico, che mi vede e pensa “Ancora lei?”». (E qui Lear, che parla perfettamente anche l’italiano tra le 5 lingue a sua disposizione si lancia in un’esclamazione lombarda da fare invidia al Pozzetto dei bei tempi: Ancora lei? E la Madooooooonna!; ndr).
La soluzione? Cambiare?
«Meglio ancora: sparire. Sparire e poi tornare. In un’altra veste. Sei sempre tu, ma fai tutt’altro. In questi giorni presento il nuovo Gli Incredibili 2. Il sequel del film del 2004: quando allora sentirono la mia voce nel doppiaggio — francese e italiano — nessuno mi riconobbe».
Dà la voce a Edna, la stilista dei supereroi, che disegna i loro costumi.
«Rispetto al doppiaggio originale ho scelto un atteggiamento diverso, un po’ Anna Wintour, prepotente, deciso. Mi sono divertita moltissimo 14 anni fa, e nella versione originale la voce a Edna la dà un uomo, il regista».
Tanto lei in tutta la carriera con il genere femminile e maschile ha sempre giocato.
«Sì, che barba, tutti a dire la Lear è una donna, un uomo, per tanti anni. Come se fosse una cosa così strana. In realtà adesso la vera provocazione è essere conservatori, sposarsi, restare sposati, mettere la cravatta. Ecco, il vero provocatore oggi è il ragioniere. Tutto il resto è superato. Anche perché onestamente sono stata amica e allieva di Dalí (il suo nome d’arte, vuole la leggenda, fu inventato dal sommo pittore, foneticamente affine a amant de Dalí; ndr) e mi chiedevano del cambiamento di sesso? Le domande riflettono l’intelligenza di chi le fa».
Spero di no. Lei tra l’altro ha studiato arte, da ragazza, prima ancora di incontrare Dalí. Si è stufata anche dell’arte?
«No, è l’unica cosa che mi ha accompagnato sempre, e sempre mi accompagnerà, anche se dovessi vivere fino a cent’anni (oltre al genere registrato all’atto della sua nascita, è nebuloso anche l’anno: fonti varie indicano dal 1939 al 1950; ndr). Io ho studiato alle Beaux-Arts a Parigi, poi alla St. Martins a Londra. A Dalí pulivo i pennelli, come gli assistenti del Rinascimento. Un privilegio pazzesco, il grande onore della mia vita. Ma è successo tutto per caso».
Per caso?
«Tutto casuale, sempre: non mi sono mai preparata niente, mai studiato una strategia». Ventisette milioni di dischi venduti per caso? «In generale dico sempre che se squilla il telefono, io ci sono. La musica è arrivata perché nella mia vita c’è stato David Bowie. Mi vede sulla copertina dei Roxy Music, chiede di conoscermi: stiamo insieme per due anni. Io gli spiego l’espressionismo tedesco del quale non sapeva niente — era un autodidatta, intelligentissimo ma partiva da zero o quasi — che diventa una sua passione. Lui si accorge che ho una bella voce, mi dà fiducia, mi consiglia di diventare cantante. Arriva subito la disco e capisco che è il momento giusto. Prima non avrei potuto cantare. Così come non avrei potuto fare la modella prima di Françoise Hardy che cambiò l’estetica delle ragazze e quindi anche delle modelle: prima sarei stata troppo alta, troppi zigomi, troppi denti. E prima della disco non credo che avrei potuto fare il pop di allora. Ma ho puntato sulla musica perché non potevo fare la modella per sempre, sapevo che il fisico non sarebbe durato».
In Italia il tormentone, tra i tanti, è stato Tomorrow, canzone che lei non ama.
«Non è una bella canzone, ma in Italia è stato il delirio, me la citano ancora, me la chiedono, quando faccio un concerto qui tendo a rifiutarmi di cantarla. Però a Tomorrow dico grazie, mi ha pagato l’affitto per trent’anni. All’estero, di canzoni me ne chiedono cento altre, in Germania per esempio Queen of Chinatown. Ma ogni Paese ha delle peculiarità: io cantavo Lili Marlene con il vocione alla Marlene Dietrich, ma qui in Italia me lo proibirono, dicevano che da voi porta sfiga, quella canzone, se l’avessi cantata sarebbero scappati tutti».
Basta rivedere qualche foto dal telefono, o un video su YouTube. Lei che canta, con quegli abiti, quei capelli, quel trucco, nell’era della disco: è diventata un’icona. Gay ma non solo. E gli stilisti la adorano.
«Perché venivo dalla moda, sapevo come posare. Come muovermi sul palco lo imparai prendendo lezioni di ballo sempre su suggerimento di David Bowie. Io amo i fumetti, pensavo a Vampirella, quel tipo di immagine lì. E poi la gente in discoteca ci andava per rimorchiare, ecco. L’idea che ho avuto? Donna Summer faceva tutti quei gridolini che non vogliono dir niente, io voglio le parole, a me piacciono le parole. Le mie canzoni hanno le parole, disco o non disco».
Se la trasgressione adesso è essere sposati perché la sua musica funziona ancora? I Baustelle l’anno scorso le hanno dedicato una canzone molto bella, Amanda Lear: «I wanna be Amanda Lear / Il tempo di / Un LP / Il lato A, il lato B / Non siamo mica immortali, bruciamo ed è meglio così... Soltanto per un LP... Che niente dura per sempre, figurati io e te».
«Dovevo esserci, nel video, poi ho evitato. La canzone ha avuto un successone. È vero che niente dura per sempre, è il caso: l’amore, la passione, durano tre anni. Se va bene». Mille giorni: nel mondo dello spettacolo come si fa? «Bisogna rinnovarsi. Come Madonna. Guardi Madonna: arrivano altri, ma poi spariscono dopo aver fatto il loro bel boom, invece lei è sempre lì».
E la moda?
«Mi piace quella fresca, l’eleganza che non si prende troppo sul serio. In Italia ci sono tanti stilisti bravi, in questi giorni sarò a Milano per cantare a un piccolo concerto dopo la sfilata di Philosophy di Lorenzo Serafini, che è un talento vero e uno stilista di grande finezza e una persona intelligente. E educata. Ecco, l’educazione. Ce n’è bisogno, dentro e fuori la moda».
In questi giorni sta dipingendo?
«Sempre, anche se sto per tornare in teatro e devo seguire l’uscita de Gli Incredibili 2. Io che ho passato tanto tempo con Dalì però dipingo fiori. Olivi. Ma la pittura resta, ben oltre mille giorni. In Italia mi sono sempre sentita a casa perché l’arte è ovunque, è la regola e non l’eccezione. Feci anche una mostra con Sgarbi che è una persona intelligentissima. Ecco, l’arte. Per me niente alcol, niente droga, no grazie. No, io dipingo. È terapeutico. È la cosa che consigliano di più gli psicoterapeuti».
Gli artisti della sua vita, al di là del maestro Dalì?
«Caravaggio, Bronzino. Botticelli. Guardi che il mondo dello spettacolo è complicato per le donne ma non è che quello dell’arte sia da meno. Di sicuro non è meno maschilista, anzi lo è di più. È ancora peggio. Dalì quando gli dicevo che volevo fare la pittrice rispondeva che non c’è mai stata una donna grande come Velazquez. Io rispondevo che a quei tempi eravamo in cucina, non ci lasciavano dipingere». Era nato nel 1904, c’erano pochi uomini sintonizzati sulle istanze del femminismo allora. «Vero. Ma io gli citavo Frida Kahlo, Suzanne Valadon. Grandi artiste, nonostante tutti quegli ostacoli. Dalì era intelligente e generoso però. Alla fine mi dà una tela. I colori, i pennelli. E mi dice: “Fammi vedere”. Io dipingo, lui guarda. Quando alla fine il quadro l’ho finalmente completato mi dice: “Non devi mai finire un quadro, mai, così la gente pensa che poteva essere un capolavoro”. Se solo avessi fatto quello che pensano loro. Gala, sua moglie, me lo comprò. Il primo quadro che ho venduto. Capii che ero stata promossa, che sarei diventata pittrice».
Nello spettacolo c’era e c’è molto maschilismo ma ora siamo in tempi di #metoo.
«Guardi, ha presente il grande produttore americano Darryl Zanuck? (Furore, Eva contro Eva, Il re e io; ndr). Ricordo i baffoni, il sigaro puzzolente: lo stereotipo del produttore, che personaggio grossier. Mi trovò che ero ragazza, cosa crede che abbia provato a fare con me? Sono cose che son sempre successe, ma questo #metoo che scoperta è? Se c’è una ragazzina stupidina ci casca, ma in un mondo così duro come quello dello spettacolo bisogna essere intelligenti, altrimenti quella delle molestie diventa una barzelletta, che lo fai e poi ti penti anni dopo quando ti accorgi che è stato un errore. Io, quando è stata eliminata Asia Argento per lo scandalo del ragazzino, mi sono proposta a X Factor. Ho detto: state tranquilli che io non pago minorenni, non mi interessano e tra l’altro dargli 350mila euro come ha fatto Asia Argento sarebbe pura follia, al massimo 50 euro».
Cosa le hanno detto?
«Di no, peccato, sarebbe stato divertente. Io la tv l’ho fatta e a volte la faccio ancora, ma fa veramente schifo, tanta volgarità e tanti opinionisti inutili. Le opinioni quelle le hanno tutti, è l’unica cosa che hanno tutti, i cretini come i geni. No, veramente la tv non si può guardare».
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