Amanda Lear: «Nei Måneskin vedo lo stesso rinnovamento di Bowie»
Chiacchierata con la diva: il nuovo disco in francese ‘Tuberose’, il Grande Fratello («analfabeti che si lavano i denti»), Star in the Star («una cagata») e i ruoli che le offrono, «sempre gli stessi»
Quando si parla di lei, in Italia, esce sempre fuori il discorso della trasgressione. Forse è il momento di mettere un punto e voltare pagina: Amanda Lear è un’artista con una carriera solida, oltre alla hit dance Tomorrow c’è di più. Lo conferma Tuberose, un album in cui ricanta (alla sua maniera) grandi classici della chanson française (e non solo). Ora sensuale, ora malinconica, Lear è un’interprete che – almeno da noi – merita di essere riscoperta sotto una nuova veste. Proprio come hanno fatto in Francia, dove, in questi giorni sta spopolando al Théâtre de la Porte Saint-Martin nei panni di Joan Crawford.
Bisognerebbe fare uno sforzo e non farsi scappare una diva degna (veramente) di essere chiamata con questo nome. Una forza della natura che passa tra le arti e non è mai scontata. Anche quando ci sentiamo per questa intervista. Dall’altro capo del telefono esordisce con un «sto correndo in radio per accogliere i Måneskin: sono arrivati a Parigi e la Virgin vuole fare loro una sorpresa. Spero siano contenti, magari mi vedono e scappano!».
Ma perché dovrebbero scappare?
Ma sai, c’era questa storia di fare un progetto insieme e cantare Amandoti.
Eh, sì. Ricordo che dovevate esibirvi a Sanremo, nella serata delle cover.
C’era questa idea di duetto, ma non potevo farlo. Poi tutti mi hanno detto che è stato un peccato perché i ragazzi hanno vinto il festival. E vabbè… comunque mi fa piacere vedere un gruppo rock italiano che fa così tanto successo. Dopo i Pooh e i Matia Bazar di band non ne avevamo più. Ora in Italia, come in Francia, ci sono cantanti che continuano a scimmiottare il rap americano quando non c’entra nulla con la nostra società e cultura. Solo che in America tutti fanno del rap.
Quindi questa storia che i Måneskin si erano risentiti per il tuo “no” alla partecipazione sanremese non era vera…
Ma nooooo! Nessuno è arrabbiato, ho anche sentito Damiano al telefono. Il resto sono storie di manager e di produttori. A noi artisti non interessa quello che succede dietro le quinte, ma quello che accade sul palco, quando ci esibiamo.
Giusto. Passiamo a Tuberose, il tuo nuovo disco.
Tutti sono sorpresi per il titolo.
Come mai?
Pensavano fosse il nome di una malattia, tipo tubercolosi (ride). Ma la tuberosa è un fiore, legato a tanti ricordi, per me.
Quali?
È il primo fiore che mi regalò Salvador Dalí. Mazzi e mazzi di questo fiore che è velenoso e ha un odore talmente forte che fa girare la testa ed è fatale. Stavo sempre ad aprire le finestre. E poi questo lavoro è legato a un periodo di confinamento.
Sarebbe a dire?
Questo disco è nato due anni fa perché cantavo La rumeur dell’autore francese Alexis Michalik. Ascoltandomi, mi hanno invitato a fare un album di grandi autori francesi. Poi è arrivato il virus. E ci siamo chiusi in casa.
Come hai vissuto il lockdown?
Sono stata da Dio. Senza vedere più certi cretini. Però mi sono messa a pensare: «Dove vado? Cazzo faccio?». Era ora di qualcosa di più serio e impegnato. È nata la voglia di un progetto malinconico. Infatti mi hanno chiesto se ero depressa.
E lo sei?
No, non sono depressa. Ma è bello prendere una pausa per parlare di amori finiti, di solitudini. È stato davvero interessante e, per la prima volta, canto solo con pochi strumenti, chitarra, pianoforte. Leonard Cohen, ecco. (ride).
Tra le canzoni del disco mi è piaciuta molto Strip-tease.
È un pezzo molto sexy di Serge Gainsbourg, cantato da Juliette Gréco. Era la colonna sonora del film omonimo in cui recitava Nico dei Velvet Underground. Doveva essere lei a interpretare il brano, ma doveva ancora iniziare a collaborare con Andy Warhol. Sono andata a spulciare e ho ritrovato questa composizione che ha parole molto malinconiche, tipo che la protagonista si spoglia come le foglie d’autunno…
Un altro bel brano è Le bel âge.
Lo cantava Barbara, una mia passione. Racconta di una donna cougar innamorata di un ventenne che poi la lascia per una coetanea.
Tu nella vita hai avuto partner più giovani.
Adoro i ragazzi più giovani, basta che siano maggiorenni. Hanno entusiasmo, allegria, curiosità della vita. Noi signore più mature li possiamo accompagnare per un pezzo di strada, ma non c’è futuro: non faranno figli, non si sposeranno, finirà così. È un passaggio quasi obbligato che i ragazzi fanno con una donna più grande.
E poi c’è Opium che ricorda le atmosfere di una tua hit…
Eh, sì, Queen of Chinatown. Quando l’ho scritta nessuno si è accorto che parlavo di una spacciatrice di sostanze stupefacenti: se tutto va male, se la vita fa schifo, chiama la regina di Chinatown per avere la droga. Erano altri tempi, si iniziavano a scoprire quelle cose. In Opium siamo a Hong Kong, di notte, la gente va di nascosto a fumare le pipe di oppio.
Altro giro altra corsa con Immortels.
È un brano di Alain Bashung che non conoscevo. Mi piace molto l’idea della canzone: lui dice alla sua compagna che sono immortali.
Vorresti essere immortale?
Per carità! Proprio l’altro giorno ho letto che uno scienziato ha scoperto che la vecchiaia è una malattia e si potrà curare. Non saremo immortali, ma riusciremo a vincere questa erosione del corpo umano. Una cosa che mi fa paura. Io morirei anche domani: ho avuto il massimo della vita, tanta fortuna. Chi avrebbe mai detto che sono ancora qui 40 anni dopo il primo disco? E sto addirittura avendo un grande successo a teatro. Sono contenta così e ringrazio per tutto quello che ho ottenuto.
Se non ricordo male tu sei devota a Santa Rita da Cascia.
Sì, anche di Sant’Antonio di Padova. Sono andata pure a Cascia. Dicono che Santa Rita sia la protettrice dei casi disperati. E noi artisti lo siamo visto che nessuno ci caga più.
Addirittura!
Va tutto male: malattia, terrorismo, ecologia. O ci spariamo tutti o spero che l’uomo si svegli. Ma la gente è cieca, di un egoismo allucinante, non gliene frega niente. Ragionano dicendo: «Se fra cinquant’anni succede qualcosa chi se ne frega? Tanto sarò morto».
Ci sono i no-vax e no-green pass anche in Francia?
Uguale a voi, ogni sabato a Parigi è un macello. Sono come i gilet gialli: protestano contro Macron, contro la benzina che costa troppo, contro il vaccino. Gente a cui non va bene niente. E questi cretini, ogni sabato pomeriggio, invece di venire a vedermi a teatro, vanno a fare casino per le strade (ride). Capisco che la gente abbia voglia di manifestare, è un diritto. Però sbagliano perché sono informati male: leggono le cose sui social dove ci sono complottisti, con numeri falsi. Questo vaccino è stato scoperto 50 anni fa, nel 1965. E loro dicono che dobbiamo aspettare un po’. Ma cosa dobbiamo aspettare? Poi sa cosa mi fa ridere?
Cosa?
Che quelli di Pfizer sono gli stessi del Viagra, ma per il Viagra nessuno ha voluto aspettare. Se lo sono inghiottiti subito. Sono imbecilli. Il vaccino è sicuro al 100%. Meglio fare il vaccino invece di morire di questa malattia orrenda.
E delle proteste contro il green pass che mi dici?
Lì sono un po’ d’accordo. Questa cosa di fare vedere il documento la trovo insopportabile. Vorrei fossero tutti vaccinati e basta, come per l’influenza. Fare vedere il pass mi dà fastidio.
Ma lo hanno fatto, probabilmente, perché c’erano poche persone che si vaccinavano.
Io recito tutte le sere a teatro, ma perdiamo molti spettatori, perché la gente non vuole fare vedere il pass. Non si può entrare in teatro e al ristorante, senza il green pass, ma in metropolitana sì. È una cosa che non si spiega bene.
Torniamo al disco. Tra tante canzoni francesi c’è pure l’italianissima Amandoti dei CCCP.
L’ho inserita perché altrimenti i miei fan italiani sarebbero rimasti delusi.
Lo hai più sentito Giovanni Lindo Ferretti?
No, più visto né sentito.
Sai che ha avuto un’evoluzione, rispetto a quando avete cantato insieme Tomorrow…
Penso che il compito di noi artisti sia divertire la gente, dare allegria, fare riflettere con le opere d’arte, ma non fare politica. Ognuno ha le sue opinioni, ma dobbiamo tenerle per noi, non influenzare le persone. Lo stesso vale per i politici che vanno nei programmi di varietà: quello non è il loro posto.
Parliamo allora, a proposito di divertimento, del tuo spettacolo Qu’est-il arrivé à Bette Davis et Joan Crawford dove interpreti Crawford…
Nessuno si sarebbe aspettato di vedermi con questa parrucca nera, orrenda, a interpretare una vecchia star alcolizzata, che muore sul palco.
Perché non se lo aspettava nessuno?
Come in Italia, anche qui in Francia ho l’immagine di quella ironica, che se la spassa. All’improvviso mi vedono a teatro e i critici stanno scrivono recensioni pazzesche. Prima mi proponevano sempre lo stesso tipo di ruolo.
E da noi?
In Italia non se ne parla, mi hanno appiccicato l’immagine di “voulez vous un rendez-vous tomorrow”, della tv… non usciamo mai da questo personaggio, ma sono cambiata. E sono delusa che produttori e registi non mi offrono altre parti. Ogni tanto, alle cene, vedo cineasti italiani che vorrebbero lavorare con me. E dico loro: «Ok, datti da fare!» (ride). Anni fa Mario Bolognini mi ha diretta per una pubblicità, diceva di volermi far fare tante cose, ma poi niente. Magari i registi propongono anche, ma se i produttori non seguono…
Invece in Francia con la recitazione hai ingranato…
Almeno faccio teatro. Ma vorrei mostrare quello che so fare al pubblico italiano.
Da noi non dovevi essere nel cast di un musical sulla moda?
Troppi pochi soldi e piccola produzione. Per il teatro non ci sono denari: è una cosa disastrosa.
E in tv non ti hanno proposto nulla?
Non passa una settimana senza che mi propongano qualcosa.
Tipo?
Un programma che ha fatto, poi, Marcella Bella.
Ah, sì, Star in the Star. Non è andato benissimo.
Infatti mi hanno detto che ho fatto bene a rifiutare perché era una cagata.
Altre cose?
Ho fatto per cinque anni il giudice a Ballando con le stelle, ma poi basta. Voglio intrattenere, non dare giudizi, invece mi propongono sempre quello: Signorini mi ha chiesto di fare l’opinionista al Grande Fratello Vip, anche la D’Urso mi ha cercata. Hanno tutti sparato cifre pazzesche, ma non mi interessa.
E come conduttrice?
Stanno sempre a menarla con questo Cocktail d’amore, mi chiedono perché non lo rifaccio. Lo rifarei, ma non sono direttore di rete. Ho un agente disperato: propone cose, ma non accettano. Almeno su Instagram ci sono moltissime persone che mi scrivono e dicono che manco. Si vede che ho lasciato il segno.
Sì, anche perché in tv non c’è più molta ironia.
L’ironia è la base. Se io prendo in giro la gente devo essere autoironica. Ci sono persone che si offendono. L’ironia manca proprio nella società. Se si ridesse sopra tante cose sarebbe più lieve l’ambiente.
Hai dichiarato che la tv italiana ti fa orrore. Salverai qualcosa…
L’arrivo del Grande Fratello è stato un disastro per me. È un tormentone: ogni anno c’è la casa, l’isola, per me non sono programmi di intrattenimento. Io vengo dalla bella televisione come Fantastico, dove si faceva sognare la gente. Vedere degli analfabeti che si lavano i denti non mi diverte.
Capisco. Ma ho ancora una domanda che si ricollega all’album: il disco parla di malinconia, dici di faticare a tornare in Italia con progetti differenti. Ti capita mai di sentirti sola?
Sempre. Anche quando sono in compagnia. La gente non accetta che siamo nati soli e moriremo soli. Dobbiamo accettare noi stessi, con i nostri difetti. Se accettiamo la nostra interiorità, siamo in buona compagnia. La solitudine non è un problema. Le mie amiche, a Londra, iniziano i discorsi dicendo «Ah, alla nostra età», e già potrebbero evitare. E continuano: «Mio marito mi ha mollata per una più giovane!».
E tu che rispondi?
«Beata te! Se tuo marito ti ha mollata per una più giovane almeno ti dà gli alimenti, vai in giro, fai crociere». La gente non capisce il positivo delle situazioni.
Giusto. Volevo chiederti un’altra cosa. Visto che sul palco porti in scena la rivalità tra Bette Davis e Joan Crawford, in Italia c’è stata una tua rivale?
Continuano a volermi far parlare male di Patty Pravo o Alba Parietti, ma non mi sento rivale di nessuno. Anzi, siamo grandi amiche. Anche con la Carrà andavo d’accordissimo.
Io dicevo di rivalità vere, non da rotocalco.
No. Di iene ce ne sono, come Malgioglio: non può fare a meno di sparare cose false o cattive, ma fa parte del personaggio e fa ridere. Pensano che dire cattiverie faccia divertire la gente, ma non lo so.
Sai che quest’estate, in Italia, c’è stata la moda di fare duettare dive evergreen con cantanti amati dai giovani?
È bello. Almeno si dà visibilità a dive che la gente non può più di vedere da 30 anni, dando possibilità ai giovani di fare cose nuove. Ho visto la Berti e la Vanoni, mi fa molto ridere. È venuta anche vedermi a Parigi.
Ah.
Sì, lei sa molto bene il francese. Mi ha chiesto di fare qualcosa insieme a teatro. La Vanoni mi segue da tanto, è venuta anche al mio live alla Bussola: abbiamo passato la serata insieme pure con Mina. Sono grandi artiste senza gelosie e amarezze, sono donne al di sopra.
Ma tra i nuovi cantanti chi ti piace?
I Måneskin li preferisco ad Achille Lauro. La gente confonde travestimenti, piume, trucco e talento. Non basta essere vestiti e truccati per avere talento.
Questa cosa di Achille Lauro l’avevi già detta in passato…
Anche David Bowie si truccava, ma era innovatore, era un rinnovamento del rock che rivedo nei Måneskin. Poi in Francia non guardo i cantanti italiani. So solo una cosa.
Cosa?
Che l’Italia è il Paese del canto, non si discute. Che sia la lirica o la musica leggera. È il Paese dello spettacolo, è prolifico, creativo. Anche nella moda. Quella francese a volte è un po’ noiosa, mentre da voi è colorata, estrosa. Fa parte della mente italiana. Uno stilista francese, una volta, mi disse – con disprezzo – che si vedeva che mi vestivo in Italia. C’è gelosia.
Senti, Amanda, questa domanda te la devo fare: cosa mi dici delle affermazioni di Giucas Casella al GF Vip? (Ha ritirato in ballo l’ambiguità che la Lear usò come espediente, probabilmente sotto consiglio di Dalí, per suscitare curiosità, nda).
Chi è Giucas Casella? Un cantante? Io avevo un fidanzato che si chiamava Manuel Casella, ma Giucas Casella non so proprio chi sia.
Capito. Ma oggi, con tutta la super carriera che hai avuto, come ti senti?
Una sopravvissuta. Sono ancora qui dopo 40 anni, gli altri sono spariti.
Rolling Stone from Gaspare Baglio ....Click and Go !
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