mardi 11 juillet 2017

Amanda Lear: età, marito, figli e vita privata dell’artista

Amanda lear: età, marito, figli e curiosità sulla misteriosa artista
Amanda Lear è il nome d’arte di Amanda Tapp. Modella, cantante, attrice, scrittrice, la Lear è una donna eclettica. Amanda ha 78 anni (è nata il 18 novembre 1939 in Vietnam).  Si distinse negli anni ’60 per una certa androginia che colpì il pittore Surrealista Salvator Dalì che la scelse come musa. Visse con lui per 15 anni.  Nel 200o il marito, Alain Philippe, morì in un incendio nella sua abitazione nel sud della Francia. Non si sa se nella villa siano andati perduti anche dipinti di Dalì. La Lear dedicò al marito, morto a soli 49 anni, l’album Heart. Tra gli amori di Amanda va ricordato anche David Bowie. Durante la lavorazione del programma Il Brutto Anatroccolo, la Lear conobbe il modello Manuel Casella. Ebbe con lui una storia durata sette anni. Nel 2014 si innamorò di Anthony, un attore di 30 anni più giovane. La storia finì, ma non per la differenza d’età, come dichiarò lei stessa. Amanda non ha avuto figli.



Amanda Lear: tanti successi ma anche molti rimpianti
Al settimanale Oggi, la Lear ha dichiarato:“I miei rimpianti sono tutti nella vita privata. La solitudine, la mancanza di un marito, dei figli. Ma non mi lamento, è stata una mia scelta.”. Tuttavia, Amanda è una donna di grandi passioni, in particolare la pittura. Delle sue mostre si è occupato anche Vittorio Sgarbi. Con la sua vena ironica la Lear ha affermato: “C’è chi va al Grande Fratello, chi dallo psicanalista, chi fa l’uncinetto. Io per trovare un mio equilibrio, per vincere le paure, dipingo.”. Insomma, Amanda ha un’ottima filosofia di vita che sfocia nella creatività. D’altra parte un’artista completa come lei, non poteva tralasciare la pittura. Tra le attività svolte dalla showgirl c’è anche spazio per la spiritualità. La Lear, infatti, adora pregare.


Amanda Lear carriera: un talento indimenticabile
Anche se le apparizioni in tv di Amanda Lear  si sono diradate, il suo talento è rimasto nel cuore di tanti.

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Amanda Lear (Techetechetè, 11 luglio 2017)

Amanda Lear / "Ho partecipato a programmi orrendi, tipo Ballando con le Stelle" (Techetechetè, 11 luglio 2017)

In questa puntata della trasmissione Techetechetè in onda nel prime time di Rai 1 ampio spazio viene dato ad una showgirl simbolo degli anni Ottanta: Amanda Lear.

AMANDA LEAR, L’ATTRICE PROTAGONISTA SU RAI 1: "HO PARTECIPATO A PROGRAMMI ORRIBILI" - Amanda Lear il cui vero nome è Amanda Tapp è tra i protagonisti di questa nuova puntata di Techetechetè. È da un pò che la cantante e attrice non appare in tv, d'altronde lo scorso anno aveva annunciato di voler abbandonare le scene per riposarsi. In una recente intervista a Gay.it, Amanda Lear ha dichiarato la presenza di molte leggende sul suo conto: "Sono infinite: l’età, la data di nascita, i lavori fatti, i fidanzati e le case. Ci sono cose scritte su di me totalmente false, ma fa parte del gioco". Parlando della sua esperienza in tv ha inoltre confessato di aver partecipato a programmi che non le sono piaciuti: "Anche in tv, mi hanno infilata in certi programmi orrendi che era meglio non fare. Esperienze da dimenticare. Tipo Ballando con le Stelle. Un programma poco dignitoso per una star del mio livello"

AMANDA LEAR, L’ATTRICE PROTAGONISTA SU RAI 1: “DALÌ ERA IMPOTENTE” (TECHETECHETÈ, MARTEDÌ 11 LUGLIO 2017) – La poliedrica artista Amanda Lear è tra i protagonisti della puntata odierna della trasmissione Techetechetè. Capace sempre e comunque di far tendenza con la propria indiscutibile bellezza e capacità di attrarre l’attenzione del pubblico, Amanda Lear ha saputo anche imporsi nel modo della musica dando alla luce qualcosa come 27 album spaziando tra il genere dance ed il pop riuscendo sempre e comunque ad ottenere un certo riscontro. In attesa di rivederla all’opera magari ascoltando uno dei suoi brani più amati di sempre, vi segnaliamo come la Lear abbia voluto dare la propria opinione sull’ordinanza della magistratura spagnola che ha ordinato la riesumazione della salma di Salvador Dalì per stabilire se Pilar Abel sia sua figlia. Nello specifico la Lear ha rimarcato come sia del tutto impossibile giacché “era impotente. Diceva che i geni non devono riprodursi”.

AMANDA LEAR, L’ATTRICE PROTAGONISTA SU RAI 1: CARRIERA (TECHETECHETÈ, MARTEDÌ 11 LUGLIO 2017) – Amanda Lear il cui vero nome è Amanda Tapp è nata ad Hong Kong il 18 novembre del 1939 da un marinaio britannico e da una madre di origini russe – mongole. Poco dopo la sua nascita in ragione della separazione dei suoi genitori, la piccola Amanda è stata portata dalla madre a Nizza dove è stata cresciuta. Ben presto nell’animo della giovane Amanda è nata la voglia di entrare nel mondo dello spettacolo. I suoi inizi sono avvenuti nell’ambito della moda nel corso degli anni Sessanta colpendo soprattutto il pittore Salvador Dalì del quale è stata musa ispiratrice. La sua vita sentimentale è stata quanto mai avvincente a partire dalla storia d’amore con David Bowie. In questo periodo inizia la sua attività di cantante di successo dando vita a pezzi di grande riscontro come Tomorrow e tanti altri ancora. Il suo ultimo album è stato pubblicato nel 2016 con titolo Le me Entertain You mentre nel 2011 ha recitato nel film Il signore dello zoo di Frank Coraci. In tv ha condotto tantissime trasmissioni tra cui Premiatissima, Il brutto anatroccolo e Cocktail d’amore.

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Amanda Lear è ancora oggi, la migliore icona della trasgressione ...

Perché Amanda Lear è ancora oggi, grazie alla sua biografia, la migliore icona della trasgressione che abbiamo
Dagli inizi come modella al debutto come cantante, fino a oggi, Amanda Lear non ha mai smesso di giocare con la sua arma migliore: l'ironia ...

Prima modella, poi cantante, e anche attrice, presentatrice, scrittrice e pittrice: Amanda Lear è stata tutte queste cose, e anche oggi che si è concentrata soltanto sull'arte e la musica continua a essere la migliore icona trasgressiva che abbiamo. Ma perché ci piace tanto? Perché affascina ancora così tante persone? Sarà merito della sua biografia misteriosa, o della sua arma migliore, quell'ironia distaccata e un po' francese che non la abbandona mai?


Gli inizi di Amanda e la sua biografia avventurosa

Amanda Lear è il nome d'arte di Amanda Tapp, nata a Hong Kong il 18 novembre del 1939, anche se sull'anno di nascita non ci sono mai state conferme ufficiali. Il minimo, per una donna che ha fatto del mistero il suo marchio di fabbrica. Inizia la sua carriera come modella, e la sua androginia infiamma subito la fantasia di un grande artista, Salvador Dalì, per il quale posa diverse volte. Amanda è la sua musa ufficiale, e pare che lui guardandola le abbia detto come prima cosa: "Signorina, lei ha uno scheletro bellissimo". Dopo arriva la copertina che la rende celebre, quella dell'album dei Roxy Music For your pleasure. Amanda, gonna di pelle aderente e tacchi a spillo, tiene al guinzaglio un puma vellutatissimo, che ci ringhia contro. Il mito è già cominciato. E dove c'è ambiguità e sex appeal, c'è David Bowie, che la prende sotto la sua ala e la guida nella carriera. A quanto pare, fu proprio Bowie a consigliare ad Amanda Lear di giocare sull'ambiguità, non chiarendo mai quale fosse il suo sesso di origine. Un tormentone che continua ancora oggi, riassunto in quel verso del Piotta: "Ma Amanda Lear è una femmina o un maschio?".


Amanda Lear e Salvador Dalì: un matrimonio spirituale

Mentre era con il suo fidanzato dell'epoca Tara Browne nel famoso locale parigino Le Castel, Amanda incontra Salvador Dalì. Il 1965 è l'anno di questo incontro fatidico, che inaugura uno strano sodalizio durato almeno 15 anni. Amanda definisce il loro rapporto "matrimonio spirituale", anche perché Dalì è sposato con l'amatissima Gala. Amanda fa da modella e da studentessa allo stesso tempo, e segue la coppia in tutte le loro vacanze estive. La stessa Amanda avrebbe raccontato questa strana relazione nel suo libro La mia vita con Dalì.

Amanda Lear cantante: vai con (la) Disco

Il debutto come cantante di Amanda Lear è folgorante. Cresciuta alla corte di Dalì prima e di Bowie poi, Amanda è pronta. In Italia sfonda con il singolo Tomorrow, e proprio grazie a quella voce bassa e sensuale le chiacchiere sulla sua ambiguità aumentano, soprattutto in un'Italia innocente e ancora molto provinciale. Un singolo dopo l'altro, grazie ai primi produttori (i celeberrimi La Bionda) e ad altri contratti, Amanda Lear diventa una delle regine della Disco europea, avendo però grande successo anche in Giappone e America Latina. Oggi ha all'attivo 15 album, più di 50 singoli e circa 15 milioni di copie vendute dei suoi album e 30 milioni dei suoi singoli.


Amanda tuttofare: conduttrice, cantante, attrice...

Oltre alla carriera di cantante, Amanda Lear dimostra di essere anche una perfetta conduttrice nei programmi di intrattenimento italiani. Poliglotta e versatile, comincia prima come soubrette e poi come conduttrice tv a partecipare a programmi televisivi anche in Francia e Germania. In parallelo, e senza mai rinunciare a niente, Amanda Lear fa anche l'attrice per il cinema e la tv, soprattutto in Francia e in Italia.

Com'è la Amanda Lear pittrice?

Diciamolo, le tele di Amanda non entreranno nei libri di storia dell'arte, ma lei insiste e continua con la sua carriera di pittrice. Amanda Lear però sa come comunicare e usare la pubblicità, e l'anno scorso è riuscita persino a coinvolgere Vittorio Sgarbi in una sua mostra personale a Roma. Non sarà grande come Dalì, ma da lui ha imparato a usare la sua immagine pubblica per ricevere attenzione su quello che le sta a cuore, l'arte e la musica soprattutto.


Amanda Lear oggi

Forte di una personalità decisa e volitiva, Amanda Lear ha attraversato una bella fetta di secolo e veleggia ancora fiera e ironica alla bella età di 78 anni. Dal 2003 vive a Saint-Ètienne-du-Grès (Avignone), in Provenza. Nel corso di questi ultimi anni ha avuto un fidanzato più giovane di lei, Manuel Casella, che ha lasciato nel 2008 dopo il suo ritorno dall'Isola dei Famosi. "Era cambiato e si era allontanato", raccontava lei ai giornali.

Amanda Lear e i Baustelle: ecco cosa succede se sei un'icona

Un'icona del genere non poteva non diventare il soggetto di una canzone (al di là della battuta tormentone del Piotta). Dopo aver affascinato il mondo della musica come cantante, anche con collaborazioni eccellenti e inaspettate come quella con il gruppo punk italiano CCCP, Amanda Lear diventa una canzone dei Baustelle contenuta nel loro settimo album, L'amore e la violenza. "Dicevi I wanna be Amanda Lear, il tempo di un LP, il lato A, il lato B, non siamo mica immortali, bruciamo ed è meglio così", cantano i Baustelle, ma sembra proprio la sintesi perfetta di una vita avventurosa.


vendredi 7 juillet 2017

Amanda Lear: «Dalí était impuissant ! Qu’on lui fiche la paix !»

Alors que la justice espagnole a demandé que soit exhumé le corps du peintre à la suite d’une demande en paternité, l’actrice et chanteuse Amanda Lear, qui fut sa muse, donne son point de vue sur cette affaire. Elle raconte le génie et ses extravagances.

Getty Images
Dans son atelier, Dalí fit poser Amanda Lear. Ici, à gauche, en 1971, en Espagne. C’est l’acteur américain Yul Brynner qui prit la photo.


" Je n’ai rien à dire sur ce lamentable épisode. L’appât du gain me dégoûte.» Depuis sa maison du sud de la France, Amanda Lear, en repos forcé après un récent burn-out, semblait fâchée par l’affaire Dalí la semaine passée. En Espagne, Pilar Abel, une voyante de 61 ans, après une demande en paternité, vient d’obtenir de la justice de son pays que soit exhumé le corps du peintre décédé le 23 janvier 1989, à 84 ans. Si, comme elle le prétend depuis dix ans, elle est la fille de l’artiste, elle touchera sa part d’héritage. Il faut donc comparer leurs ADN. Amanda Lear côtoya Dalí pendant dix-sept ans. Témoin privilégié de sa vie, elle nous parle de sa relation avec l’extravagant peintre. L’un des artistes les plus importants du XXe siècle.
Dans son manteau violet, affublé d’une perruque et d’une couronne, Salvador Dalí, en compagnie de sa muse Amanda Lear, assiste en 1969 au bal oriental du baron Alexis de Redé sur l’île Saint Louis à Paris. Photo: Getty Images

Quelle a été votre réaction en apprenant que l’on demandait que soit exhumé le corps de Salvador Dalí ?

Il est mort en 1989. Qu’on lui fiche la paix! Il voulait être enterré aux côtés de sa femme ou de son père. On l’a mis dans le théâtre-musée qui porte son nom à Figueras. Il y a une plaque par terre et des milliers de gens lui marchent dessus à longueur de journée. L’ADN de Dalí est partout sur ses objets personnels, alors pourquoi le déterrer? J’ai une chemise, des lettres. Il y en a des traces sur ses tableaux. Des scientifiques américains sont venus chez moi pour en prélever. Une enquête demandait alors d’identifier certaines toiles. Tant de faux ont circulé. De son vivant, il était entouré de parasites qui n’en voulaient qu’à son argent.

Vous en avez été le témoin ?

Je lui disais: «Ces gens vous mentent, vous font signer n’importe quoi.» Il répondait: «Je sais.» Et ajoutait: «Il faut vivre d’erreur et de parfum!» Il avait un côté masochiste, ravi de se sentir exploité.

Quand vous êtes-vous rencontrés ?

En 1965, chez Castel, la boîte de nuit parisienne. J’étais étudiante aux Beaux-Arts, mannequin, j’avais 18 ans. Brian Jones des Rolling Stones habitait chez moi. Dalí était assis sur un trône, entouré d’une cour. Il m’a dit: «Vous avez la plus belle tête de mort que j’ai jamais vue!» Je me suis dit, sans comprendre: «Quel sale con!» Pour lui, le squelette était une architecture plus importante que notre chair, vouée à se dégrader et disparaître. Il peignait des homards, dont la carapace – un exo­squelette – le fascinait par sa forme et sa perfection.

Il s’est immédiatement intéressé à vous ?

Il adorait la musique des Beatles et des Stones. Et il a dit en roulant les «r»: «Où est-il, ce Rrrrolling é-Stone?» parlant de Brian Jones. Il m’a fait un baisemain et m’a invitée à déjeuner chez Lasserre le lendemain. Il me récitait du García Lorca, me comparaît à la Mélancolie, la gravure d’Albrecht Dürer. Et nous ne nous sommes plus quittés.

Entrer dans sa vie nécessitait l’assentiment de sa femme.

A l’hôtel Meurice, ça s’est très mal passé la première fois. Gala était terrible, protectrice. C’est elle qui a fait Dalí, a cru en lui. Elle gérait ses contrats. Cette petite bonne femme mal fichue au regard noir fascinait. Elle s’est tapé tous les surréalistes: Max Ernst, André Breton, Paul Eluard, avec lequel elle a été mariée et dont elle a eu un enfant. Elle l’a quitté pour Dalí. Elle faisait le gendarme, veillait à ce qu’il ne m’offre pas de tableau. Dalí m’a dit avant que je ne la rencontre: «Maquillez-vous, mettez des faux cils, une minijupe, montrez vos jambes.» Il attendait le verdict comme un petit garçon terrorisé. Gala pestait: «Des mannequins comme elle, il y en a plein.» Il me demandait de marcher, vantait mes  qualités et me vendait comme un aspirateur (rire).

Elle a fini par vous adopter.

Sans maquillage cette fois, en petite robe d’été et espadrilles. Sous le soleil brûlant de Cadaqués, elle m’a regardée comme un être humain. Gala m’a désigné sa chambre d’amis, un privilège rare. Elle m’a confié une clé de la maison et Salvador Dalí. Elle aimait tellement son mari: «S’il est heureux avec vous, vous avez ma bénédiction», disait-elle. Savoir que quelqu’un veillait sur lui la rassurait.

Elle était sa femme, vous sa muse. Vous étiez amants ?

Pour moi, il a été un frère, un père, un gourou, un professeur d’art, un amant. Il a tenu tous ces rôles. Je posais nue. Mais nous n’avions pas de relations charnelles. Dalí était impuissant. J’étais sa muse, son ange. Quelqu’un qui vit avec un artiste, partage sa vie, son intimité, l’inspire, le fait rire, lui fait la lecture. Je lui racontais tout, mes joies et mes chagrins d’amour. Il aimait ma pâleur, ma gravité. Il me surnommait cascaballet de plata, petit grelot d’argent, à cause d’un pendentif de mon enfance. Notre  trio intriguait. «Que fait Dalí avec deux femmes ? Gala est-elle lesbienne?»

A-t-elle vraiment souhaité que vous l’épousiez ?

Oui, une fois qu’elle serait morte. Elle a disparu en 1982, à 88 ans. Elle avait dix ans de plus que lui. C’était une Russe très croyante, elle m’avait demandé de jurer sur la Vierge noire de Kazan que je l’épouserais. J’ai refusé. J’avais une vie, une carrière de chanteuse disco se dessinait devant moi, notamment grâce à David Bowie.

Que pensait Dalí de vos toiles ?

«Surtout ne me montrez jamais vos tableaux!» me disait-il. En parfait misogyne, il prétendait qu’il n’y avait pas de grands peintres femmes. Je répondais: «Et Mary Cassatt, Suzanne Valadon, Frida Kahlo, Berthe Morisot?» Il répondait, tel un vieux macho espagnol: «Aucune femme n’a jamais peint la chapelle Sixtine!»
Un jour, j’ai osé lui soumettre mes toiles. «C’est pas mal... pour une femme!» Je peins tous les jours. J’entends encore sa voix, ses conseils me guident: «Trop de bleu. Attention au ciel!» La peinture est ma  psychanalyse, elle extériorise mes frustrations, ma libido.

Aimiez-vous ses œuvres ?

Non. Je préfère Picasso. Je reste en extase devant les miniatures, des tableaux comme des cartes postales, réalisés avec des pinceaux à un poil, d’une précision et d’une netteté folles. Ses grands formats, têtes de mort, montres molles, ses fourmis et ses cauchemars me faisaient peur.

Comment expliquer son obsession de la mort ?

Ses parents avaient au-dessus de leur lit la photo de leur fils aîné. Cet enfant mort s’appelait Salvador. Petit, chaque fois que Dalí entendait son prénom, il ne savait pas si on parlait de lui, le cadet vivant, ou de son frère, son homonyme décédé. La photo du défunt le fixait depuis le mur. Cette idée parsème son œuvre.

Il y avait des rituels entre vous ?

Le soir, il passait sa moustache au noir et la graissait. Il m’embrassait très fort. Je repartais dans ma chambre avec l’empreinte sur le front. Il était intrigué par le fait que je ne transpire pas, passait sa canne sous mon aisselle comme on glisse un thermomètre, la reniflait et s’extasiait: «Vous sentez les genêts en fleur! Le miel, Cadaqués au printemps...»

La banalité du quotidien l’effrayait ?

Sa laideur. Il portait des lunettes dont les verres étaient sales, collants du miel qu’il mettait dans son thé. Une fois nettoyés, il s’étonnait: «C’est affreux, je vois net. La réalité est moche!» Je prenais du LSD pour être dans l’air du temps et ses visions psychédéliques. Il avait horreur de la drogue, n’en avait pas besoin. «Buvez un verre d’eau minérale et vous verrez un arc-en-ciel!» J’ai décroché sur son injonction.

Le public ne connaît de Dalí que l’extravagant personnage. Etait-il constamment en représentation ?

Non. Dans l’intimité, comme un clown qui se démaquille, il laissait apparaître sa vraie nature, pleine d’humour, d’attention. C’était un lettré, un écrivain, un conteur, un philosophe, un peintre de génie. Dès qu’il voyait un journaliste ou un photographe, il faisait son numéro, redevenait ce provocateur antipathique. Je le détestais.

Pourquoi ?

Comment pouvait-il s’abaisser à faire le pitre, à peindre n’importe quoi, comme une cravate, contre 100 000 dollars? Peu lui importait qu’on le critique. Il répétait: «Chez Dupont, tout est bon!» Il avait intégré les codes du showbiz en Amérique. J’étais à bonne école. Il m’a appris à manipuler les médias. Il détestait l’idée, idiote à ses yeux, du peintre maudit. Modigliani pauvre, éclairé à la bougie, ou Van Gogh noyé dans l’absinthe. Les maîtres que sont Michel-Ange ou Léonard de Vinci devaient être à la table des puissants, des rois, comme lui avec les Rothschild.

Manège à trois. Gala (au centre), de son vrai nom Elena Ivanovna Diakonova, était la femme de Dalí. Elle gérait ses affaires et avait accepté, dès 1965, la présence d’Amanda Lear. Photo: Getty Images

Vous l’avez accompagné partout, même en Suisse.

Il ne voyageait qu’en bateau, l’avion le terrorisait. La première fois qu’il l’a pris, c’était avec moi. Nous nous rendions à Genève. J’ai dû lui donner un Valium pendant le vol. Un soir, alors que nous traversions en dehors des clous, une femme policier nous a demandé nos papiers. Dalí n’avait pas son passeport sur lui. «Vous me reconnaissez, tout de même. Regardez ma moustache et ma canne. Je suis Dalí!» Rien à faire. J’ai su négocier. Dalí, vexé, pestait contre la Suisse et ses lois. Nous avons ensuite rejoint Lausanne. Il est tombé dans la rue à la sortie du Beau-Rivage. Là, j’ai mesuré la fragilité de cet homme devenu si vulnérable. Il était désemparé. Il tremblait. C’est un drame pour un peintre d’être incapable de tenir un stylo ou un pinceau. Il souffrait de la maladie de Parkinson.

Votre toute dernière rencontre ?

Il m’a reçue dans le noir afin que je ne perçoive pas sa déchéance. Il avait une très haute opinion de lui-même. J’entendais sa respiration, devinais sa silhouette squelettique. Il ne voyait pas mes larmes. Il m’a confié un morceau de bois ayant appartenu à Gala dont il ne se séparait jamais. C’est ce qu’il avait de plus précieux. Ce porte-bonheur était destiné à me porter chance. Je lui ai dit: «Dalí, je vous ai tellement aimé!» Il m’a répondu: «Yo también.» Je suis sortie, sans me retourner.


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