In occasione del nuovo disco di De Rubertis, che ne ha fatto un duetto con Amanda Lear, lei racconta la sua vita d'artista: gli incontri, e talvolta gli scontri, con Dalí, Jean Paul Gaultier e Andy Warhol.
La sua storia d’amore con Dalí è durata molto di più, sedici anni.
Dalí era ancora diverso, lui si sentiva il re del mondo, il migliore di tutti. Quando l’ho incontrato frequentavo l’Accademia di Belle Arti a Parigi perché volevo diventare pittrice e gli dissi: “Anch’io dipingo, siamo praticamente colleghi, ma pensa!”. Immaginati la sua faccia… Mi disse di non mostrargli i miei quadri perché tanto le donne non sanno dipingere: “Quando mai c’è stata una pittrice famosa?”, mi chiese. E io: “Ma è pieno, pensa a Frida Kahlo”. Lui minimizzava, era un macho spagnolo, maschilista, e lì per lì mi offesi, pensai che non l’avrei più rivisto, invece poi rimasi affascinata dalla sua doppia personalità: era proprio Dr. Jekyll e Mr. Hyde, in pubblico recitava una parte, faceva il gradasso, in privato era adorabile, colto, educato, pieno di attenzioni. A me piaceva quest’ultimo Dalí, quello umano, vero; l’altro lo odiavo, era insopportabile.
Si è mai chiesta che cosa in lei ha attratto artisti di quella caratura?
Non lo so, il profumo? Come il protagonista del romanzo Il profumo di Süskind… No, davvero, non lo so, di certo non c’entra solo la bellezza, perché all’epoca c’erano tante ragazze più belle di me. Piuttosto penso che alcuni uomini abbiano guardato oltre la maschera, oltre il trucco, e abbiano trovato una persona vulnerabile, sensibile, perché poi è questo che sono. E poi, voglio dire, anche adesso esco con ragazzi di trent’anni e quando gli chiedo come mai non stanno con le loro coetanee mi rispondono che si annoiano, mentre con me si divertono. Insomma, non è così importante l’aspetto fisico, è importante anche portare un uomo in un buon ristorante (ennesima risata; ndr).
Prima ha citato il suo album I Am A Photograph: quando faceva la modella non si sentiva così, una fotografia?
Sì, mi sentivo frustrata, perché non dover fare altro che apparire, non potevo parlare, esprimermi, ero solo un’immagine, stavo in posa e basta; infatti ho smesso presto di fare quel lavoro, perché sono una che ama comunicare, non faceva per me. Però da allora sono rimasta in ottimi rapporti con molti stilisti: Fiorucci, che ora purtroppo è mancato, Paco Rabanne, Riccardo Tisci, due settimane fa ho sfilato a Monaco di Baviera per Jean Paul Gaultier, e poi ci sono i nuovi designer di marchi come Dsquared2 che magari vogliono conoscermi. Per me sono dei creatori, la moda è arte, ideare tutta questa messa in scena, valorizzare la figura femminile è arte, non si tratta solo di tessuti.
Tutti la definiscono la musa di Dalí, la musa di Bowie, la musa di Jean Paul Gaultier: va fiera di quest’etichetta o pensa che la sminuisca?
Non ho mai capito che cosa faccia una musa. La gente pensa che la musa sia una persona che va a letto con un artista, vive con lui, è una presenza che lo ispira, sta lì. Quindi no, non mi piace il termine “musa”. E mi piace ancor meno quando mi definiscono “icona”: l’icona sta al cimitero! Ma pazienza.
Oggi so che trova sollievo nella pittura, sul suo profilo Facebook posta spesso le sue opere: che cosa le dà l’atto del dipingere?
Mi aiuta a scacciare via le tensioni, a rilassarmi. C’è chi si droga, chi va dallo psicoterapeuta, chi lavora all’uncinetto: io dipingo. Mi calma, mi dà equilibrio, ci metto tutto quello che ho dentro, sfogo la rabbia, mi fa stare bene.
La sua età è un mistero, c’è chi sostiene che è del 1939, chi del 1950. In fondo sono dettagli, ma mi chiedo: la vecchiaia la spaventa?
A me dell’età delle persone non importa, basta che non abbiano più di 30 anni! (ancora una volta, ride; ndr). Scherzo, però quando sento dire che sono bella per l’età che ho, beh… Non si può eliminare quel riferimento all’età?! La verità è che non festeggio più il mio compleanno da una vita, sul serio, non m’interessa. Penso a Virna Lisi, ad Anna Magnani, donne che hanno saputo invecchiare meravigliosamente. Mentre Sofia Loren, non so, per me è sbagliato voler nascondere l’età così. L’essenziale è proiettare un’energia positiva, trasmettere allegria, conservare quel non so che di seducente. Poi le rughe ci sono, le ho: perché toglierle?
o Gianluca non sapevo chi fosse, se no, carino com’è, l’avrei subito rimorchiato!», dice con tono scherzoso Amanda Lear. Gianluca è Gianluca De Rubertis cantautore, che replica: «Per me Amanda è innanzitutto la copertina di For Your Pleasure dei Roxy Music». Sono le prime dichiarazioni rubate in un hotel milanese a quella che presto potrebbe diventare «la strana coppia» della musica italiana. L’occasione è il lancio di L’universo elegante, il nuovo disco di De Rubertis, cantautore 39enne già negli Studiodavoli e nella band Il Genio, il duo del successo Pop porno: un album raffinato, dal sapore rétro, che uscirà all’inizio di ottobre anticipato dal singolo Mai più. «Una ballata pop dal gusto anni Settanta; una canzone triste che parla della fine di un amore, ma con una musica gioiosa, che ti fa ballare», lo definisce l’autore, che ne ha fatto un duetto proprio con Amanda Lear. Come ci è riuscito? «Tutto è nato da un’idea di Davide Lasala, che ha curato il missaggio del disco: a un certo punto mi ha fatto notare che alcuni brani sarebbero stati perfetti per essere cantati con Amanda, a me sembrava una cosa non realizzabile, ma lui è stato caparbio, ha trovato un aggancio con il management di Amanda, ha spedito il materiale e a lei è piaciuto, ha apprezzato i testi, lo stile musicale, al punto da accettare la nostra proposta. E qui un po’ me la tiro, sono molto orgoglioso della sua reazione». I due hanno anche girato assieme il videoclip del brano, che potremo vedere nelle prossime settimane: un omaggio a un film degli anni Sessanta di cui non vogliono ancora svelare il titolo (indizio: c’entra una partita a scacchi). «Una cosa hot, caliente caliente!», afferma la Lear con un filo di malizia. «Avremmo potuto fare qualcosa di più spinto, ma poi…». Scoppia a ridere (cosa che farà ripetutamente nel corso dell’intervista). «A parte gli scherzi – continua –, è una scena di seduzione, un gioco di sguardi».
Ha detto che non conosceva De Rubertis: come mai ha accettato la sua proposta? Di proposte ne ricevo tante, nel caso di Gianluca quel che contava era la musica: ho ascoltato il suo lavoro e il pezzo che lui aveva pensato per il duetto mi è piaciuto subito. Dopodiché mi sono informata su di lui, per capire chi era, che cos’aveva fatto da solista e con Il Genio, e alla fine ho accettato, un po’ per la stima nei suoi confronti, un po’ perché sono al lavoro su un nuovo album e un duetto poteva servirmi, specie in italiano, dato che per il resto il disco sarà tutto in inglese e in francese.
Così vi siete incontrati. Sì, e mi sono trovata davanti a un ragazzo colto, intelligente, con cui si può parlare non solo di musica, ma anche di cinema, di letteratura, un musicista diverso da tanti altri che ho incontrato, tutti concentrati sulla loro chitarra e chiusi verso il resto. E visto che a me piacciono le menti aperte… Tra l’altro non è detto che io piaccia ai suoi fan, forse per lui è anche un rischio questo duetto, no?
Non credo. Piuttosto, lei della scena musicale italiana che cosa conosce? Ah, pochissimo, non vivendo in Italia da anni mi arrivano solo alcune cose dalla tv: i cantanti che vincono a Sanremo, quelli di Amici o cose tipo Renga, Mengoni. Ma mi sembra che in Italia gli artisti che funzionano siano ancora legati alla tradizione della canzone melodica italiana, i musicisti un po’ più rock o underground come Gianluca non trovano spazi, in televisione non vengono nemmeno invitati ed è un peccato, in questo modo tanti talenti vengono sprecati. Non che in Francia sia tutto rose e fiori, là si tende a scimmiottare gli americani, cosa che fate anche qui, del resto, ed è insopportabile. Per esempio, non capisco perché in Italia ci debbano essere i rapper, l’hip hop è una musica legata alle periferie delle città americane, cosa c’entra con il contesto italiano? E dire che di cantautori giovani e bravi ne avete.
E della televisione italiana che opinione ha oggi? Dopo aver partecipato al programma Si può fare! condotto da Carlo Conti ha dichiarato, in sostanza, di essere malpagata e insoddisfatta. La tv italiana fa schifo, sono molto delusa, propone sempre le stesse cose: la presenza frivola, l’opinionista, la giuria, Ballando con le stelle per la cinquantesima volta, il Grande Fratello per la millesima. Ma non cambiano mai?! E allora, se non c’è nulla di nuovo per me, anche basta. L’ultima novità che ha scombussolato un po’ il mondo dell’intrattenimento televisivo è stata Cocktail d’amore, un programma che piacque molto perché divertente, dissacrante, diverso, ma si parla di dodici anni fa. Il fatto è che mancano gli autori e i soldi, ti dicono tutti che non c’è budget e visto che io gratis non lavoro, per il momento niente tv. Ma ho la recitazione, a giugno sarò a Roma sul set di un film di Cosimo Messeri, giovane cantautore anche lui, era l’assistente di Nanni Moretti, mentre fino a maggio sono a teatro a Parigi con lo spettacolo La candidate: è la storia di una donna che si presenta per la prima volta alle elezioni presidenziali, una commedia politica, ma da ridere, perché la protagonista è un po’ fuori di testa, così tanto che viene eletta! (ride; ndr).
La segue la politica? Purtroppo sì. Quest’estate ero a Saint-Tropez, ci vado pochissimo perché è pieno di escort e di russi ormai, e a un tratto mi sono ritrovata davanti Berlusconi. Non lo vedevo da vent’anni! Ai tempi del lancio di Canale 5 era il mio padrone e devo dire che era bravissimo come capo di rete, poi si è dato alla politica ed è andato tutto a rotoli… Ci siamo soltanto salutati, il giorno dopo eravamo su tutti i giornali, ma io me ne frego di queste cose.
Al teatro come ci è arrivata, invece? Era da tantissimo che mi proponevano di fare teatro, la prima volta accade addirittura trent’anni fa, girai uno spot per la San Pellegrino che diventò un tormentone, c’erano anche i manifesti ovunque, io sdraiata sull’autostrada, chissà quanti incidenti… (ride di nuovo; ndr). Fatto sta che il regista era il grande Mauro Bolognini, fu lui il primo a dirmi che avevo la presenza per fare teatro, in seguito me l’avrebbero detto tanti altri, per esempio Patroni Griffi. Ma io da un lato avevo paura di non essere
all’altezza, dall’altro sapevo che con il teatro si guadagnava poco. Poi sette anni fa mi sono separata dopo tanti anni da un mio fidanzato italiano (si riferisce all’attore e modello Manuel Casella; ndr), dunque sono tornata a Parigi e il giorno dopo mi ha chiamata un produttore teatrale e mi ha detto: “Ho una commedia per lei, se accetta ci metto i soldi, però sappia che deve restare fissa a Parigi per almeno un anno”. Ed era esattamente ciò di cui avevo bisogno, per cui ho firmato, mi son buttata e mi è piaciuto da morire. Prima di salire sul palco è terribile, ho una fifa, il mal di pancia, senza contare che in scena non hai il microfono, ti devono sentire fino alla terza balconata, è terrificante, non è come al cinema che se sbagli puoi rifare, lì non puoi sbagliare, sei continuamente sul filo, eppure questa cosa mi ha dato una carica di adrenalina incredibile.
Incredibile è la sua vita: è stata con Salvador Dalí, David Bowie, Andy Warhol…
Ma è successo tutto per caso. Contrariamente a tante ragazze che frequentano la scuola di recitazione e magari hanno in testa un piano per la propria carriera, io non ho mai fatto nessun progetto. Credo tantissimo nel destino, credo che qualcuno decida i miei incontri, anzi, ne sono convinta: magari entro in un ristorante e toh, c’è Woody Allen! Ed è così che dev’essere la vita: ho incontrato Dalí completamente per caso in una discoteca, ho conosciuto David Bowie per caso, Bryan Ferry lo stesso, Andy Warhol idem.
Avevano uno sguardo simile sul mondo, sulla vita?
Beh, Andy Warhol era molto furbo, interessante. Quello che mi affascinava di Bowie, invece, era che non era colto, aveva parecchie lacune, ma faceva di tutto per essere all’altezza: se io gli parlavo di William Burroughs lui mi chiedeva “chi?, come si scrive?”, ma poi l’indomani sapeva tutto; oppure citavo Metropolis di Fritz Lang e lui non l’aveva mai sentito nominare, ma il giorno dopo andava a vederselo. Adoravo questa sua curiosità. Quel che non mi piaceva era che non si struccava e mi sporcava i cuscini. E anche che non era davvero innamorato di me: dopo aver visto una mia foto decise che voleva conoscermi e fece di tutto per riuscirci, recuperò il mio telefono e un giorno mi chiamò alle due di una notte dicendomi che voleva incontrarmi. Solo che poi mi resi conto che, appunto, non era innamorato di me, ma di una mia fotografia, e io ci soffrivo, non è un caso che il mio primo disco s’intitoli I Am a Photograph e che contenga una canzone che si chiama così.
Ma è successo tutto per caso. Contrariamente a tante ragazze che frequentano la scuola di recitazione e magari hanno in testa un piano per la propria carriera, io non ho mai fatto nessun progetto. Credo tantissimo nel destino, credo che qualcuno decida i miei incontri, anzi, ne sono convinta: magari entro in un ristorante e toh, c’è Woody Allen! Ed è così che dev’essere la vita: ho incontrato Dalí completamente per caso in una discoteca, ho conosciuto David Bowie per caso, Bryan Ferry lo stesso, Andy Warhol idem.
Avevano uno sguardo simile sul mondo, sulla vita?
Beh, Andy Warhol era molto furbo, interessante. Quello che mi affascinava di Bowie, invece, era che non era colto, aveva parecchie lacune, ma faceva di tutto per essere all’altezza: se io gli parlavo di William Burroughs lui mi chiedeva “chi?, come si scrive?”, ma poi l’indomani sapeva tutto; oppure citavo Metropolis di Fritz Lang e lui non l’aveva mai sentito nominare, ma il giorno dopo andava a vederselo. Adoravo questa sua curiosità. Quel che non mi piaceva era che non si struccava e mi sporcava i cuscini. E anche che non era davvero innamorato di me: dopo aver visto una mia foto decise che voleva conoscermi e fece di tutto per riuscirci, recuperò il mio telefono e un giorno mi chiamò alle due di una notte dicendomi che voleva incontrarmi. Solo che poi mi resi conto che, appunto, non era innamorato di me, ma di una mia fotografia, e io ci soffrivo, non è un caso che il mio primo disco s’intitoli I Am a Photograph e che contenga una canzone che si chiama così.
La sua storia d’amore con Dalí è durata molto di più, sedici anni.
Dalí era ancora diverso, lui si sentiva il re del mondo, il migliore di tutti. Quando l’ho incontrato frequentavo l’Accademia di Belle Arti a Parigi perché volevo diventare pittrice e gli dissi: “Anch’io dipingo, siamo praticamente colleghi, ma pensa!”. Immaginati la sua faccia… Mi disse di non mostrargli i miei quadri perché tanto le donne non sanno dipingere: “Quando mai c’è stata una pittrice famosa?”, mi chiese. E io: “Ma è pieno, pensa a Frida Kahlo”. Lui minimizzava, era un macho spagnolo, maschilista, e lì per lì mi offesi, pensai che non l’avrei più rivisto, invece poi rimasi affascinata dalla sua doppia personalità: era proprio Dr. Jekyll e Mr. Hyde, in pubblico recitava una parte, faceva il gradasso, in privato era adorabile, colto, educato, pieno di attenzioni. A me piaceva quest’ultimo Dalí, quello umano, vero; l’altro lo odiavo, era insopportabile.
Si è mai chiesta che cosa in lei ha attratto artisti di quella caratura?
Non lo so, il profumo? Come il protagonista del romanzo Il profumo di Süskind… No, davvero, non lo so, di certo non c’entra solo la bellezza, perché all’epoca c’erano tante ragazze più belle di me. Piuttosto penso che alcuni uomini abbiano guardato oltre la maschera, oltre il trucco, e abbiano trovato una persona vulnerabile, sensibile, perché poi è questo che sono. E poi, voglio dire, anche adesso esco con ragazzi di trent’anni e quando gli chiedo come mai non stanno con le loro coetanee mi rispondono che si annoiano, mentre con me si divertono. Insomma, non è così importante l’aspetto fisico, è importante anche portare un uomo in un buon ristorante (ennesima risata; ndr).
Prima ha citato il suo album I Am A Photograph: quando faceva la modella non si sentiva così, una fotografia?
Sì, mi sentivo frustrata, perché non dover fare altro che apparire, non potevo parlare, esprimermi, ero solo un’immagine, stavo in posa e basta; infatti ho smesso presto di fare quel lavoro, perché sono una che ama comunicare, non faceva per me. Però da allora sono rimasta in ottimi rapporti con molti stilisti: Fiorucci, che ora purtroppo è mancato, Paco Rabanne, Riccardo Tisci, due settimane fa ho sfilato a Monaco di Baviera per Jean Paul Gaultier, e poi ci sono i nuovi designer di marchi come Dsquared2 che magari vogliono conoscermi. Per me sono dei creatori, la moda è arte, ideare tutta questa messa in scena, valorizzare la figura femminile è arte, non si tratta solo di tessuti.
Tutti la definiscono la musa di Dalí, la musa di Bowie, la musa di Jean Paul Gaultier: va fiera di quest’etichetta o pensa che la sminuisca?
Non ho mai capito che cosa faccia una musa. La gente pensa che la musa sia una persona che va a letto con un artista, vive con lui, è una presenza che lo ispira, sta lì. Quindi no, non mi piace il termine “musa”. E mi piace ancor meno quando mi definiscono “icona”: l’icona sta al cimitero! Ma pazienza.
Oggi so che trova sollievo nella pittura, sul suo profilo Facebook posta spesso le sue opere: che cosa le dà l’atto del dipingere?
Mi aiuta a scacciare via le tensioni, a rilassarmi. C’è chi si droga, chi va dallo psicoterapeuta, chi lavora all’uncinetto: io dipingo. Mi calma, mi dà equilibrio, ci metto tutto quello che ho dentro, sfogo la rabbia, mi fa stare bene.
La sua età è un mistero, c’è chi sostiene che è del 1939, chi del 1950. In fondo sono dettagli, ma mi chiedo: la vecchiaia la spaventa?
A me dell’età delle persone non importa, basta che non abbiano più di 30 anni! (ancora una volta, ride; ndr). Scherzo, però quando sento dire che sono bella per l’età che ho, beh… Non si può eliminare quel riferimento all’età?! La verità è che non festeggio più il mio compleanno da una vita, sul serio, non m’interessa. Penso a Virna Lisi, ad Anna Magnani, donne che hanno saputo invecchiare meravigliosamente. Mentre Sofia Loren, non so, per me è sbagliato voler nascondere l’età così. L’essenziale è proiettare un’energia positiva, trasmettere allegria, conservare quel non so che di seducente. Poi le rughe ci sono, le ho: perché toglierle?
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